Fobia-mania, paure senza confini
La paura può trasformare le cose più innocue e comuni negli incubi peggiori. Ma qual è il meccanismo che fa scattare la molla del terrore? Davvero esiste una fobia per tutto? Dove nascono e come si curano questi disturbi?
Immaginate di incrociare per strada una ragazza stupenda: tacchi a spillo, curve al posto giusto, labbra carnose… insomma, uno schianto. Se però invece che voltarvi a guardarla, iniziate a tremare e a sudare freddo, mentre un senso di nausea e oppressione vi attanaglia, allora probabilmente soffrite di caligynefobia, un terrore smisurato per le belle donne. Magari "condito" con un tocco di philematofobia, una fifa matta dei baci. Se invece a spaventarvi sono solo i baci di vostra suocera, forse siete affetti da penterafobia (un’avversione ingiustificata per la madre di vostra moglie).
«La paura è democratica», afferma Giorgio Nardone, psicologo, psicoterapeuta e direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo (un istituto di ricerca, training e cura di queste patologie), «in 15 anni di terapia ho incontrato oltre 10 mila pazienti, il 52% dei quali donne, il 48% uomini. Non c’è quindi una differenza significativa tra sessi, né tra ceti sociali. Neppure medici e psicologi, che con le fobie hanno a che fare ogni giorno, ne sono immuni».
E l’elenco delle fobie più insolite potrebbe continuare all’infinito, c’è chi non sopporta la vista delle ginocchia - neanche delle proprie - (genufobia), chi trema, e non solo di freddo, quando nevica (quionofobia) e chi ha talmente paura delle ombre da ridursi a vivere nel buio più assoluto. Altri temono gli angoli di case e palazzi (gonofobia), vanno in panico davanti a un minestrone di verdure (lachanofobia) o alla sola vista di un pc (i ciberfobici, che difficilmente leggeranno queste righe). Disturbi un po’ insoliti, certo, ma seri e invalidanti, che possono colpire un po’ tutti, indistintamente.
Sconfiggere la paura si può, basta scegliere la strada giusta. Eccone alcune. D’accordo, la fobia delle lontre (lutrafobia) per chi abita in città, può non essere particolarmente invalidante: basta evitare fiumi e parchi naturali e il problema non si pone. Ma il punto è che dietro a questa e altre paure così specifiche, si nasconde spesso un disagio personale più serio. Perché allora non provare a risolverlo? Gli approcci terapeutici non mancano. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, ad esempio, propone una progressiva "desensibilizzazione" dallo stimolo fobico, che porta gradualmente il paziente a scontrarsi con ciò che fa paura. Si comincia con la presa di coscienza della situazione temuta e la si avvicina a poco a poco per arrivare, se la cura ha successo, a viverla realmente (ma questa volta, liberi dal panico). Esistono anche forme di doping sociale: parlare davanti a una platea metterebbe un po’ in soggezione chiunque e, nella maggioranza dei casi, non si tratterebbe di una fobia e neppure di ansia sociale. Ma ricorrere a un farmaco (un cosiddetto lifestyle drug) per affrontare meglio questa realtà è una scorciatoria. Molto pericolosa.
Un esempio?
A un ragazzo terrorizzato dall’idea di poter sbattere il naso contro gli specchi, il terapeuta ha consigliato di proteggersi con un casco da motocross. Tutto preso da questo nuovo compito, il giovane ha ripreso quasi senza accorgersene abitudini abbandonate da tempo a causa del suo disturbo. Riuscendo in breve ad abbandonare il terrore degli specchi (e il casco). In questo caso la fobia è stata sconfitta "solcando il mare all’insaputa del cielo", cioè "spostando l’attenzione dal tentativo di controllare la paura all’esecuzione di un compito distraente".
Diverso è il metodo psichiatrico che prevede, per alcuni tipi di fobie sociali – disturbi che portano chi ne soffre a rinchiudersi in se stesso evitando il contatto con gli altri – il trattamento con farmaci antidepressivi come la paroxetina. Questi farmaci riducono i sintomi esterni del disturbo, non ne combattono le cause alla radice. E in più presentano il rischio di dipendenza.
Ribrezzo, paura, fobia... ma che differenza c'è tra una normale repulsione e una paura invalidante? La differenza sta nell’escalation delle sensazioni e percezioni provate. Possiamo avere ribrezzo per qualcosa, come accade ai bambini, ma se cominciamo a evitare gradatamente quest’oggetto o situazione, allora la repulsione diviene paura, e la paura fobia. La fobia di volare, ad esempio, ci impedisce del tutto di prendere un aereo. Se invece nonostante il timore riusciamo a salirvi, allora siamo ancora entro i limiti della paura.
Elisabetta Intini, 16 febbraio 2009
Per saperne di più:
G. Nardone, Non c’è notte che non veda il giorno: la terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico,
Ponte alle Grazie, Milano 2003.
G. Nardone, Non c’è notte che non veda il giorno: la terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico,
Ponte alle Grazie, Milano 2003.
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