La tecnologia ha invaso la nostra quotidianità. Siamo bombardati continuamente da diversi flussi di informazione - dal telefono al computer alla tv - e siamo in grado di fare sempre più cose contemporaneamente. In media ricorrriamo ai mezzi di comunicazione tre volte di più rispetto agli anni Sessanta e visitiamo circa 40 siti web al giorno cambiando finestra o programma almeno 37 volte in un'ora. Prendendo in prestito un termine dal linguaggio informatico, siamo sempre più "multitasker". Ma a quale prezzo? Se state leggendo questo articolo lanciando ogni tanto uno sguardo al cellulare o alla tv, controllando occasionalmente la casella di posta elettronica o i tweet dei vostri amici, chattando con loro su msn o ascoltando il vostro iPod, probabilmente - sostengono sempre più ricerche - la tecnologia vi sta chiedendo un "costo" mentale e sociale molto alto. Sì, perché non solo interferisce con le vostre vite quotidiane, sottraendovi tempo da dedicare ad amici e parenti nella vita reale, ma sta persino cambiando la vostra capacità di memorizzare e ridisegnando il vostro cervello. "Stiamo esponendo i nostri cervelli a nuovi ambienti e chiedendo loro di fare cose per le quali non sono necessariamente evoluti. Sappiamo che ci sono delle conseguenze", ha detto al New York Times Adam Gazzaley, direttore del Centro immagini per la neuroscienza presso l'Università della California.
"Quando hai 500 foto delle tue vacanze sul tuo account Flikr contro cinque veramente significative, cambia la tua capacità di ricordare i momenti che davvero vuoi ricordare?", chiede retoricamente lo psichiatra Elias Aboujaoude, direttore della Impulse Control Disorders Clinic di Stanford e autore del libro Virtually you: the Internet and the fracturing of the self (Virtualmente tu: Internet e la frattura del sé). Grazie agli spazi di archiviazione su Internet pressoché illimitati, siamo incoraggiati a serbare tutto, comprese le informazioni più insignificanti a scapito di quelle nuove: inevitabilmente - sostiene Aboujaoude - ciò cambia "la nostra capacità di archiviare nuove memorie e di ricordare le cose che dovremmo davvero ricordare".
Un team di ricercatori della Stanford University è andato oltre sfatando il mito del "multitasker" iperproduttivo: ha dimostrato che se il cervello di chi sa usare un computer è più abile a trovare informazioni mentre quello di chi gioca ai videogame sviluppa una migliore attività visiva, quello del multitasker ha invece più difficoltà a concentrarsi, non riesce a distinguere le informazioni irrilevanti da quelle rivelanti e, come se non bastasse, è anche più stressato. Una porzione del cervello agisce infatti come torre di controllo e ci aiuta a concentrarci e a stabilire delle priorità, mentre parti più primitive, le stesse che elaborano visioni e suoni, le chiedono di distogliere l'attenzione ogni volta che vengono stimolate, bombardandola incessantemente.
"La parte più spaventosa è che non ci si riesce a sbarazzare delle proprie tendenze multitasking neppure quando non si fa multitasking", ha spiegato Clifford Nass, il neuroscienziato che ha guidato la ricerca. In altre parole, l'incapacità di concentrarsi persiste anche a computer spento. Solo i cosiddetti supertasker riescono a giostrare indenni molteplici flussi d'informazione. Rappresentano però meno del 3 per cento della popolazione. "Siamo a un punto di flesso: le esperienze di una significativa frazione di gente sono sempre più frammentate", avverte Nass. Non resta, suggerisce concordando con altri esperti, che cercare di limitare drasticamente il tempo che trascorriamo online: obbligarci a lasciare il cellulare a casa occasionalmente, stabilire quanto tempo trascorrere quotidianamente sui social network o un limite al numero di volte in cui ci colleghiamo per controllare la nostra casella di posta elettronica". Perché è solo staccando la spina e "prestandoci attenzione l'un l'altro che - sostiene Nass - diventiamo più umani".
[Fonte: repubblica.it]
« La tecnologia da sola non può né liberare né rendere schiavi;
essa deve essere capita, guidata,
impiegata verso gli obiettivi che ci interessano. »
(Giorgio Ceragioli)
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