« La psicologia si occupa dei "giochi" della mente: studia le partite che le persone giocano fra loro
e le neuroscienze studiano i mezzi con cui giocare: un bastone può servire al battitore per colpire la palla che il lanciatore gli lancia in una partita di baseball, ma lo stesso bastone può servire a qualcun altro per rompere la faccia di un amico. »
Luciano Mecacci

martedì 22 giugno 2010

Troppa tecnologia fa male.

La tecnologia ha invaso la nostra quotidianità. Siamo bombardati continuamente da diversi flussi di informazione - dal telefono al computer alla tv - e siamo in grado di fare sempre più cose contemporaneamente. In media ricorrriamo ai mezzi di comunicazione tre volte di più rispetto agli anni Sessanta e visitiamo circa 40 siti web al giorno cambiando finestra o programma almeno 37 volte in un'ora. Prendendo in prestito un termine dal linguaggio informatico, siamo sempre più "multitasker". Ma a quale prezzo? Se state leggendo questo articolo lanciando ogni tanto uno sguardo al cellulare o alla tv, controllando occasionalmente la casella di posta elettronica o i tweet dei vostri amici, chattando con loro su msn o ascoltando il vostro iPod, probabilmente - sostengono sempre più ricerche - la tecnologia vi sta chiedendo un "costo" mentale e sociale molto alto. Sì, perché non solo interferisce con le vostre vite quotidiane, sottraendovi tempo da dedicare ad amici e parenti nella vita reale, ma sta persino cambiando la vostra capacità di memorizzare e ridisegnando il vostro cervello. "Stiamo esponendo i nostri cervelli a nuovi ambienti e chiedendo loro di fare cose per le quali non sono necessariamente evoluti. Sappiamo che ci sono delle conseguenze", ha detto al New York Times Adam Gazzaley, direttore del Centro immagini per la neuroscienza presso l'Università della California.

"Quando hai 500 foto delle tue vacanze sul tuo account Flikr contro cinque veramente significative, cambia la tua capacità di ricordare i momenti che davvero vuoi ricordare?", chiede retoricamente lo psichiatra Elias Aboujaoude, direttore della Impulse Control Disorders Clinic di Stanford e autore del libro Virtually you: the Internet and the fracturing of the self (Virtualmente tu: Internet e la frattura del sé). Grazie agli spazi di archiviazione su Internet pressoché illimitati, siamo incoraggiati a serbare tutto, comprese le informazioni più insignificanti a scapito di quelle nuove: inevitabilmente - sostiene Aboujaoude - ciò cambia "la nostra capacità di archiviare nuove memorie e di ricordare le cose che dovremmo davvero ricordare".

Un team di ricercatori della Stanford University è andato oltre sfatando il mito del "multitasker" iperproduttivo: ha dimostrato che se il cervello di chi sa usare un computer è più abile a trovare informazioni mentre quello di chi gioca ai videogame sviluppa una migliore attività visiva, quello del multitasker ha invece più difficoltà a concentrarsi, non riesce a distinguere le informazioni irrilevanti da quelle rivelanti e, come se non bastasse, è anche più stressato. Una porzione del cervello agisce infatti come torre di controllo e ci aiuta a concentrarci e a stabilire delle priorità, mentre parti più primitive, le stesse che elaborano visioni e suoni, le chiedono di distogliere l'attenzione ogni volta che vengono stimolate, bombardandola incessantemente.

"La parte più spaventosa è che non ci si riesce a sbarazzare delle proprie tendenze multitasking neppure quando non si fa multitasking", ha spiegato Clifford Nass, il neuroscienziato che ha guidato la ricerca. In altre parole, l'incapacità di concentrarsi persiste anche a computer spento. Solo i cosiddetti supertasker riescono a giostrare indenni molteplici flussi d'informazione. Rappresentano però meno del 3 per cento della popolazione. "Siamo a un punto di flesso: le esperienze di una significativa frazione di gente sono sempre più frammentate", avverte Nass. Non resta, suggerisce concordando con altri esperti, che cercare di limitare drasticamente il tempo che trascorriamo online: obbligarci a lasciare il cellulare a casa occasionalmente, stabilire quanto tempo trascorrere quotidianamente sui social network o un limite al numero di volte in cui ci colleghiamo per controllare la nostra casella di posta elettronica". Perché è solo staccando la spina e "prestandoci attenzione l'un l'altro che - sostiene Nass - diventiamo più umani".

[Fonte: repubblica.it]

« La tecnologia da sola non può né liberare né rendere schiavi;
essa deve essere capita, guidata,
impiegata verso gli obiettivi che ci interessano.
»
(Giorgio Ceragioli)

venerdì 4 giugno 2010

Cambiamenti climatici e psicologia

I cambiamenti climatici stravolgono l'equilibrio del pianeta, ma anche quello dei singoli individui, impreparati a disastri ambientali. "La psicologia e gli psicologi possono offrire strumenti importanti per gestire le sfide attuali e future di un mondo contraddistinto dalla crescente complessita'". Lo ha spiegato Truett Anderson, scienziato impegnato nella promozione del ruolo della Psicologia sociale per affrontare i problemi del Global Impact Warning, che ha tenuto a Roma, una Lectio magistralis, all'Accademia Filarmonica, in un incontro promosso dall'Ordine degli Psicologi del Lazio.

"Siamo tutti colpiti - ha detto il vice presidente dell'Ordine degli Psicologi del Lazio, Paolo Cruciani, aprendo l'incontro - dai numerosi disastri ambientali che stanno stravolgendo l'equilibrio del pianeta, l'ultimo è la marea nera nel Golfo del Messico. Come Ordine abbiamo sentito l'urgenza e la necessità di fermarci a riflettere sul futuro della nostra terra e le responsabilità degli uomini, ascoltando le analisi e le suggestioni del professor Truett Anderson".

Nella sua lezione, poi, l'esperto americano ha chiarito la responsabilità sociale della psicologia e i suoi compiti di fronte ai grandi cambiamenti climatici, capaci di modificare la vita sulla terra e suscitare profonde ansie nelle persone.
Tre sembrano - secondo la sua analisi - le grandi questioni a cui dare risposte. La prima: smontare gli aspetti emozionali spesso terroristici della comunicazione, legati alle grandi modificazioni ambientali, che possono essere utilizzati per esercitare vere e proprie forme di repressione a livello sociale. La seconda: prevenire le risposte irrazionali delle persone che possono scatenare azioni primitive e violente o profonda disperazione. La terza: favorire una mentalità aperta collegata a responsabilità politica e morale, per maturare la consapevolezza che noi siamo la navicella, noi stessi siamo la terra, ad essa biologicamente integrati. Qui sta la dimensione strategica della psicologia, che dovrebbe essere promossa fin dai primi livelli della formazione, con un servizio diffuso di psicologia scolastica.
"Tutti i cittadini del pianeta terra - ha sottolineato Anderson - hanno bisogno di una nuova forma di alfabetizzazione emozionale, che permetta loro di comprendere che viviamo nell'era dell'Antropocene, così definita dal premio Nobel Paul Crutzen, membro dell'Accademia Mondiale dell'Arte e della Scienza. Perché gli esseri umani per la prima volta nella storia del pianeta sono divenuti la variabile più importante che impatta non solo gli esseri umani, ma tutte le forme di vita del pianeta".
Se gli esseri umani rimangono "ciechi e ignari di questa loro micidiale potenza le conseguenze saranno catastrofiche per tutti. La psicologia e gli psicologi - ha concluso Anderson - possono offrire strumenti importanti per gestire le sfide attuali e future di un mondo contraddistinto dalla crescente complessità".

"Si tratta dell'evoluzione della specie umana e della sua capacità di comprensione e di gestione dell'impatto che abbiamo su noi stessi, gli altri e tutte le forme viventi. E' necessario comprendere, a tutti i livelli di responsabilità, come si possono affrontare le sfide attuali, tra le quali spiccano il riscaldamento del pianeta, l'uso delle risorse e ancor più l'identità e il senso di appartenenza degli esseri umani al sistema terra e alla complessa trama della vita".

Fonte: http://www.adnkronos.com/