« La psicologia si occupa dei "giochi" della mente: studia le partite che le persone giocano fra loro
e le neuroscienze studiano i mezzi con cui giocare: un bastone può servire al battitore per colpire la palla che il lanciatore gli lancia in una partita di baseball, ma lo stesso bastone può servire a qualcun altro per rompere la faccia di un amico. »
Luciano Mecacci

lunedì 22 marzo 2010

Il fumo danneggia le facoltà mentali delle donne

Il fumo fa male. Quante volte bisognerà ripeterlo prima che ci si renda conto che è vero? Certo, a quanto pare non bastano le scritte minacciose che compaiono sulle confezioni di sigarette a scoraggiare dall’uso, visti i dati sul consumo di tabacco. Forse, però, qualche studio ci potrebbe far riflettere sulla necessità di continuare a farsi del male.
Secondo quanto affermato dai ricercatori statunitensi dell’Università dell’Iowa il fumo provocherebbe danni al cervello delle donne peggio che il consumo moderato di alcol. E questi stessi effetti deleteri non si sarebbero riscontrati negli uomini. Tutto ciò, tuttavia, fanno notare gli esperti, non giustifica i maschi dal continuare a fumare.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista “Journal of Studies on Alcohol and Drugs” emostrano chiaramente come le donne fumatrici possano nel lungo termine soffrire di un calo delle funzioni mentali.
Nello studio sono stati coinvolti 118 uomini e 169 donne di età compresa tra 31 e i 60 anni, di cui sono state valutate le abitudini riguardo al fumare e al bere. Poi sono stati eseguiti dei test per valutare le capacità cognitive, le funzioni mentali e la memoria.
Dai questionari compilati è emerso che circa il 45% degli uomini ha segnalato di avere avuto episodi di abuso di alcol; le donne lo hanno segnalato nella misura del 37%. Una storia di vera dipendenza dall’alcol è stata segnalata dal 17% degli uomini e da 4% delle donne. La dipendenza da tabacco è invece stata segnalata dal 18% degli uomini e da un quarto delle donne.
«Mi aspettavo che il fumare mostrasse effetti simili negli uomini e nelle donne. E sia gli uomini che le donne presentavano modelli similari di dipendenza. Ma è possibile che gli estrogeni rendano le donne più sensibili agli effetti della nicotina», ha dichiarato la dottoressa Kristin Caspers del Dipartimento di Psichiatria dell’Università dello Iowa.
Dai risultati dei test è apparso che le donne che fumavano 20 o più sigarette al giorno sono state battute dalle non fumatrici nelle abilità cognitive che includono le capacità di ragionare, pianificare e organizzare.
Non escludendo il fattore di tossicità acuta dovuto al fatto che le donne fumatrici hanno fumato anche durante lo svolgimento dello studio e dei test, i ricercatori sottolineano comunque le differenze di comportamento e come questo possa influire sul cervello con implicazioni di cui non si conosce ancora la portata.
Il fatto che vi sia anche una differenza tra maschi e femmine è un dato ambiguo di cui non si è potuta, in realtà, dare una risposta.
[fonte: lastampa.it]

lunedì 15 marzo 2010

Generazione "bi-curious"

Sempre più adolescenti sperimentano l'omosessualità e esplorano orgogliosamente territori di confine. Lontani da scuola e famiglia, le loro confidenze viaggiano su Internet. E ora gli specialisti si chiedono: specchio dei tempi o semplice moda. "La bisessualità nell´adolescenza è sempre esistita, solo che ora non è più un tabù"

Mutano, si nascondono, giocano con l´ambiguità. Ragazzi nell´età incerta, che scoprono se stessi, la sessualità, il corpo che cambia, e sperimentano sempre più territori di confine. Non solo "etero" dunque, ma anche "omo" e soprattutto "bisex". Hanno tra i quattordici e i diciotto anni e fanno parte di un movimento young-adult che in tutto il mondo ha fatto dell´ambiguità il proprio modo di amare. Le ragazze camminano mano nella mano, provano baci e carezze, i maschi si fermano ad abbracci più virili ma più espliciti di un tempo: più che bisex molti si definiscono bi-curious, curiosi doppiamente, si vestono con stile androgino, si ispirano all´inquieto movimento "Emo", si incontrano e si confidano in una galassia di siti e blog dove raccontano la loro ambiguità.

Un fenomeno così vasto e dichiarato, un outing così collettivo, che ormai da diversi mesi psicologi, sociologi, medici (ma anche cacciatori di tendenze) hanno messo il fenomeno dei teenager bisex sotto la lente di ingrandimento. Per capire se qualcosa è davvero cambiato nella sessualità dei giovani. O se invece gli adolescenti non abbiano semplicemente smesso di nascondere la loro indefinitezza sessuale. In una recente ricerca dell´Istituto di ortofonologia di Roma, è stato calcolato che tra gli undici e i sedici anni il 35 per cento delle ragazze, e addirittura il 60 per cento dei ragazzi, si è avvicinato o ha provato l´esperienza omosessuale.

Ma, al di là dei numeri, per Francesca Sartori, docente di Sociologia del genere all´università di Trento, tutto questo è la spia di un «forte cambiamento culturale». «L´adolescenza è l´età dell´onnipotenza, del voler provare tutto. La novità è che questa generazione sembra voler fare della propria ambiguità un modo di essere, una bandiera. Del resto questi teenager sono i figli di una società dove i ruoli tradizionali sono caduti, dove la confusione è forte, dove la moda, proprio sfruttando queste tendenze giovanili, propone immagini efebiche di maschi glabri e femmine senza seno, quasi indistinguibili. A mio parere però - aggiunge Sartori - è un azzardo parlare di gioventù bisex, perché è soltanto un´avanguardia trasgressiva che gioca con questi ruoli. E tra qualche anno capiremo se si tratta di "effetto età" o di un vero cambiamento. È certo, però, che gli adolescenti sperimentano una nuova libertà, ma anche un nuovo modo di non definirsi».

L´ultimo rapporto della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, segnala che gli adolescenti hanno le loro prime esperienze sessuali tra i quattordici e i sedici anni. Ed è in quel momento che la sperimentazione sessuale abbraccia più strade e più forme. E dove la scuola funge da terreno di conoscenza. Un tema a cui Federico Batini, ricercatore di Pedagogia all´università di Perugia, ha dedicato L´identità sessuale a scuola. «La bisessualità nell´adolescenza è sempre esistita, ma adesso non è più un tabù. Però il vero problema è che ai ragazzi mancano gli strumenti per decodificare ciò che gli accade, della sessualità sanno ciò che scoprono su Internet, spesso in modo grossolano e non selezionato. In famiglia il discorso non viene affrontato e a scuola non se ne parla affatto. La verità - conclude - è che non esiste per i giovani una alfabetizzazione sessuale».

Legge invece il diffondersi della bisessualità tra gli adolescenti come un problema legato al riconoscimento di sé Simonetta Putti, psicologa e psicoterapeuta, curatrice di un saggio a più voci dal titolo: Chirone, dinamiche dell´identità di genere. «Il disagio esistenziale è oggi un dato diffuso anche tra adolescenti e ragazzi. E se la sessualità non costituisce più un´area di divieto da parte dei genitori, è l´area dell´affettività e del sentimento ad essere in difficoltà, e sempre più "tecnomediata" da Internet, mail, sms. E infatti, dietro questa crisi dell´identità di genere, c´è a mio parere la forte crisi di identità di questa generazione».
[Maria Novella de Luca]

« In ognuno di noi,
attraverso tutta la vita
la libido normalmente oscilla
tra l'oggetto maschile
e quello femminile. »
(Sigmund Freud)

martedì 2 marzo 2010

L'effetto placebo è un potente "guaritore"


Sfruttare l'effetto per ottenere migliori risultati nelle cure.
Partendo dal concetto che l’effetto placebo sia un mezzo potente per favorire la guarigione, un ricercatore australiano sostiene che potrebbe essere utilizzato efficacemente per aumentare i risultati delle cure mediche. Il dr. Damien Finniss dell’Università di Sidney ha condotto una revisione basata su diversi studi - in particolare pubblicati sulla rivista “The Lancet” - ed è arrivato alla conclusione che l’effetto placebo è talmente potente che può essere sfruttato al pari di una vera e propria medicina.«Alcune risposte al placebo sono estremamente grandi e possono essere equivalenti a quelle di un farmaco attivo. È semplice come credere, sperare e avere fiducia nel medico», ha dichiarato a questo proposito.

Anche se nel mondo scientifico l’effetto placebo non è considerato allo stesso modo e ci sono ancora delle resistenze nei suoi confronti, il dr. Finniss ritiene che sia comunque visto sempre più come
un processo che può offrire speranze e promesse grazie alla ricerca sull’interazione della mente con i processi chimici del cervello.
In un recente studio, sottolinea Finniss, le persone che credevano di aver assunto degli oppiacei per il controllo del dolore – mentre invece avevano assunto un placebo - avevano le aree del cervello, interessate dall’azione di queste sostanze, attive come se avessero davvero preso le pillole antidolorifiche.
«Le modificazioni nel cervello indotte dal placebo sono molto simili ai cambiamenti reali degli analgesici oppiacei». Ha aggiunto il dr. Finniss. Lo stesso fenomeno si è verificato con altri farmaci e placebo fatti assumere da gruppi diversi di persone.
«La tecnologia avanzata e la metodologia di ricerca ha individuato effetti placebo diversi in tutto il corpo, come variazioni indotte dal placebo in cuore, polmoni e funzioni ormonali». Ha concluso il ricercatore.