« La psicologia si occupa dei "giochi" della mente: studia le partite che le persone giocano fra loro
e le neuroscienze studiano i mezzi con cui giocare: un bastone può servire al battitore per colpire la palla che il lanciatore gli lancia in una partita di baseball, ma lo stesso bastone può servire a qualcun altro per rompere la faccia di un amico. »
Luciano Mecacci

venerdì 26 febbraio 2010

Goloso da piccolo, alcolista da grande?

Quasi tutti i bambini amano i dolciumi, ma qualcuno più degli altri. E se il bimbo tende ad avere una forte passione per i cibi estremamente dolci, questo potrebbe rappresentare un sintomo di depressione e condurre in futuro a possibili problemi di alcolismo. A sostenerlo è una ricerca pubblicata sulla rivista medica di dipendenze Addiction.
Secondo Julie Mennella del Monell Chemical Senses Center statunitense, la preferenza per i cibi molto dolci potrebbe essere legata alla biologia dell’organismo o all’educazione impartita ai bambini dai genitori. In ogni caso, il consumo dei cibi molto zuccherati attiverebbe il cosiddetto sistema della ricompensa presente nel cervello, che porterebbe al rilascio di oppioidi endogeni e alla conseguente sensazione di piacere. In alcuni casi, sostengono i ricercatori, questo meccanismo potrebbe instaurare una sorta di circuito di dipendenza che porterebbe, in futuro, a ricercare altre sorgenti di piacere, come l’alcol.
Nel suo studio, Julie Mennella e i colleghi hanno invitato un campione di 300 bambini di età compresa tra i 5 e i 12 anni – metà dei quali con una storia familiare di alcolismo – ad assaggiare delle bevande dolci contenenti diverse quantità di zucchero, chiedendo loro quali preferissero. Dai risultati è emerso che la preferenza per le bevande più dolci era espressa da 37 bambini i quali, oltre ad avere una storia familiare di alcolismo, erano affetti da leggeri sintomi di depressione. Questa bevanda conteneva circa il 24% di saccarosio, pari a 14 cucchiaini di zucchero contenuti in una tazza contenente acqua. “Sappiamo che il gusto dolce provoca ‘ricompensa’ per tutti i bambini e aiuta a farli sentire meglio”, afferma la ricercatrice. In qualche caso, tuttavia, le preferenze di spingono verso lo stremo e potrebbero condurre a conseguenze peggiori.

[Fonte: Mennella JA et al. Sweet preferences and analgesia during childhood: effects of family history of alcoholism and depression. Addiction; early view marzo 2010. http://it.health.yahoo.net/c_news.asp?id=27440]

giovedì 11 febbraio 2010

Il vincitore veste rosso

Vuoi vincere una gara o passare un esame? Vestiti di rosso.
Recenti ricerche lo confermano: i colori influenzano le nostre performance sia fisiche che psicologiche.
Maglia che vince non si cambia. Soprattutto se rossa. Rosso che vince non si cambia. Lo scorso anno un gruppo di psicologi dell’Università di Monaco ha mostrato le registrazioni di alcuni incontri di arti marziali a 42 arbitri e ha chiesto loro di decretare i vincitori. In questo tipo di lotta gli atleti si distinguono per il colore della divisa che può essere rossa o blu e il vincitore viene determinato in base al numero di colpi portati a segno correttamente. In una seconda fase dell’esperimento i ricercatori, dopo aver scambiato digitalmente i colori delle tute, hanno mostrato nuovamente i video ai 42 giudici chiedendo ancora loro di scegliere i vincitori. Il risultato del test è stato sorprendente: ai lottatori diventati rossi è stato attribuito il 13% di vittorie in più rispetto a quando erano blu. Il fenomeno si è manifestato soprattutto negli incontri tra lottatori dello stesso livello, quando risultava più difficile stabilire la supremazia netta di uno dei due.
Rossi & cattivi. La relazione tra sport e colori è stata scoperta nel 2004, quando in occasione delle Olimpiadi di Atene due antropologi dell’Univeristà di Durham, Russell Hill e Robert Barton, hanno analizzato i risultati di tutti gli incontri delle varie discipline di lotta svoltesi durante i Giochi. Nel 55% dei casi la vittoria è andata agli atleti in rosso e nelle discipline corpo a corpo (come la lotta greco romana) questa percentuale è salita addirittura al 62%. Secondo Barton il risultato può essere spiegato in parte con una preferenza inconscia per il rosso da parte dell’arbitro, ma soprattutto con il fatto che il rosso, colore dell’aggressività e della dominanza, favorirebbe psicologicamente l’atleta che lo indossa facendolo sentire un vincente. E il potere del rosso sembra manifestarsi anche negli sport di squadra: uno studio condotto su 56 stagioni di Premiere League, la lega calcio inglese, ha dimostrato che le squadre con la divisa rossa, (Liverpool, Manchester United e Arsenal) hanno vinto 38 titoli su un totale di 63. I motivi? Non sono chiari, ma sembra possibile poter escludere a priori quelli legati alla miglior visibilità del rosso rispetto ad altri colori.
[fonte: www.focus.it]
«Il rosso è uno dei colori più forti.
È come il sangue, colpisce l'occhio.
Credo che sia per questo che i semafori sono rossi,
così come i segnali di stop.
Uso sempre il rosso nelle mie opere.»
(Keith Haring)

domenica 7 febbraio 2010

Sonno cronico?

Dormire meno del necessario notte dopo notte può far accumulare un pericoloso debito cronico di sonno che è ancora più insidioso di una notte trascorsa completamente in bianco, perchè difficile, se non impossibile, da recuperare: quindi le funzioni del nostro cervello non sono mai al top.

LO STUDIO - Uno studio condotto da Daniel Cohen del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston dimostra che se dormiamo poco (non più di 6 ore a notte) per molti giorni di seguito, una dormita di 10 ore consecutive non basterà al recupero e non saremo mai al nostro meglio nello svolgere le attività quotidiane. Lo studio è importante perchè mostra che gli effetti del debito cronico di sonno sono differenti e più gravi di quelli della perdita di sonno acuta. Secondo quanto riferito sulla rivista Science Translational Medicine, il debito cronico di sonno è molto più insidioso per le performance cognitive perchè il recupero è lento e difficile, sempre che sia possibile del tutto. Secondo quanto riferito da Cohen, intervistato dall'agenzia Ansa, una spiegazione dell'insidia del debito cronico di sonno potrebbe essere nel nostro cervello: qui una molecola, l'adenosina, entra in circolo quando dormiamo poco e se il sonno diventa cronico il segnale inviato dall'adenosina si fa «assordante» per il cervello e difficilmente rientra. Siamo tutti superefficienti, scattiamo tra un'attività e l'altra, dal lavoro alla palestra all'aperitivo con gli amici; anche i bambini si dividono fra mille attività, scolastiche e non, e tutto va a discapito del nostro rapporto col sonno, cosicché tendiamo ad accumulare un debito cronico di sonno.

IL CERVELLO DEVE FARE ORDINE - Dormire è il momento in cui il cervello fa ordine tra tutte le informazioni inglobate durante il giorno appena trascorso catalogandole e scremando il superfluo. La perdita di sonno, inoltre, lede le nostre capacità mnemoniche e di apprendimento. Però finora non era chiara la differenza tra gli effetti di una singola notte in bianco e il cronico dormire poco (che è poi l'abitudine che più caratterizza l'odierna società dell'efficienza). L'esperto ha confrontato cosa succede restando svegli per 24 ore di seguito e invece dormendo una media di 5,6 ore a notte per tre settimane. È emerso che nel primo caso per la maggior parte delle persone basta una dormita di 10 ore per recuperare la notte in bianco, ma che questo non è sufficiente al recupero del debito cronico.

CROLLO DELLE PERFORMANCE - Infatti gli individui in debito cronico diminuiscono le proprie performance cognitive ora dopo ora, con un crollo vertiginoso nelle ore serali. «Una precedente ricerca - spiega Cohen - aveva dimostrato che stare svegli per 24 ore di seguito equivale a una dose di alcol nel sangue superiore a quella dei limiti di guida. Invece questo lavoro mostra che un debito cronico di sonno causa un deterioramento più rapido delle performance per ogni ora che si resta svegli. Tant'è che il quadro di diminuzione delle performance di una notte di veglia si amplifica di 10 volte se nelle due settimane precedenti si è dormito per sole sei ore». «Dati su animali - rileva Cohen - mostrano che una sostanza chiamata adenosina si accumula nel cervello quando siamo svegli da troppo e promuove il sonno e che la caffeina blocca l'azione dell'adenosina. Nel debito cronico di sonno questa sostanza rimane elevata per troppo tempo nel cervello e ciò provoca l'aumento del numero di recettori per captarla per cui il segnale dell'adenosina si iperattiva ed è difficile spegnerlo. Mentre nella perdita di una sola notte di sonno i recettori non aumentano e basta dormire per 10 ore per ridurre la concentrazione di adenosina, serve molto più tempo per riportare al livello normale il numero dei recettori per cui serve molto più tempo per smaltire un debito cronico di sonno». «Non sappiamo quanto tempo serva per recuperare un debito cronico - conclude - ma di certo non bastano dei giorni».
[Fonte Agenzia Ansa]

giovedì 4 febbraio 2010

Ossessioni e Compulsioni

Caratteristiche essenziali del disturbo ossessivo compulsivo sono pensieri, immagini o impulsi ricorrenti che creano allarme o paura e che costringono la persona a mettere in atto comportamenti ripetitivi o azioni mentali. Come il nome stesso lascia intendere, il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato da ossessioni e compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e sono al di fuori del controllo di chi li sperimenta. Tali idee sono sentite come disturbanti e intrusive, e, almeno quando le persone non sono assalite dall'ansia, sono giudicate come infondate ed insensate. Esse sono accompagnate da emozioni sgradevoli, come paura, disgusto, disagio, dubbi, o dalla sensazione di non aver fatto le cose nel "modo giusto", e gli innumerevoli sforzi per contrastarle non hanno successo, se non momentaneo. Le compulsioni tipiche del disturbo ossessivo compulsivo vengono anche definite rituali o cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente) messi in atto per ridurre il senso di disagio e l'ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni.

A differenza di altri disturbi psicologici, sostanzialmente omogenei, nella pratica clinica si possono distinguere con relativa chiarezza sette tipologie di disturbo ossessivo-compulsivo, talvolta presenti in concomitanza.

  • Disturbi da contaminazione - Si tratta di ossessioni e compulsioni connesse a improbabili (o irrealistici) contagi o contaminazioni. Sostanze "contaminanti" diventano spesso non solo lo sporco oggettivo, ma anche urine, feci, sangue e siringhe, carne cruda, persone malate, genitali, sudore, e persino saponi, solventi e detersivi, contenenti sostanze chimiche potenzialmente "dannose". Se la persona entra in contatto con uno degli agenti "contaminanti", mette in atto una serie di rituali di lavaggio, pulizia, sterilizzazione o disinfezione volti a neutralizzare l'azione dei germi e a tranquillizzarsi rispetto alla possibilità di contagio o a liberarsi dalla sensazione di disgusto.
  • Disturbi da controllo - Si tratta di ossessioni e compulsioni implicanti controlli protratti e ripetuti senza necessità, volti a riparare o prevenire gravi disgrazie o incidenti. Le persone che ne soffrono tendono a controllare e ricontrollare sia per tranquillizzarsi riguardo al dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo, sia a scopo preventivo, per essere sicuri di aver fatto il possibile per prevenire qualunque possibile catastrofe. Controllano così di aver chiuso le porte e le finestre di casa, le portiere della macchina, il rubinetto del gas e dell'acqua, la saracinesca del garage o l'armadietto dei medicinali; di aver spento fornelli elettrici o altri elettrodomestici, le luci in ogni stanza di casa o i fari della macchina; di non aver perso cose personali lasciandole cadere; di non aver investito involontariamente qualcuno con la macchina.
  • Ossessioni pure - Si tratta di pensieri o, più spesso, immagini relative a scene in cui la persona attua comportamenti indesiderati e inaccettabili, privi di senso, pericolosi o socialmente sconvenienti (aggredire qualcuno, avere rapporti omosessuali o pedofilici, tradire il partner, bestemmiare, compiere azioni blasfeme, offendere persone care, ecc.). Queste persone non hanno né rituali mentali né compulsioni, ma soltanto pensieri ossessivi.
  • Superstizione eccessiva - Si tratta di un pensiero superstizioso portato all'eccesso. Chi ne soffre ritiene che il fatto di fare o non fare determinate cose, di pronunciare o non pronunciare alcune parole, di vedere o non vedere certe cose (es. carri funebri, cimiteri, manifesti mortuari), certi numeri o certi colori, di contare o non contare un numero preciso di volte degli oggetti, di ripetere o non ripetere particolari azioni il "giusto" numero di volte, sia determinante per l'esito degli eventi. Tale effetto può essere scongiurato soltanto ripetendo l'atto (es. cancellando e riscrivendo la stessa parola, pensando a cose positive) o facendo qualche altro rituale "anti-iella".
  • Ordine e simmetria - Chi ne soffre non tollera assolutamente che gli oggetti siano posti in modo anche minimamente disordinato o asimmetrico, perché ciò gli procura una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e di logicità. Libri, fogli, penne, asciugamani, videocassette, cd, abiti nell'armadio, piatti, pentole, tazzine, devono risultare perfettamente allineati, simmetrici e ordinati secondo una sequenza logica (es. dimensione, colore, ecc.). Quando ciò non avviene queste persone passano ore del loro tempo a riordinare ed allineare questi oggetti, fino a sentirsi completamente tranquilli e soddisfatti.
  • Accumulo/accaparramento - E' un tipo di ossessione piuttosto rara che caratterizza coloro che tendono a conservare ed accumulare oggetti insignificanti e inservibili (riviste e giornali vecchi, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie vuote, asciugamani di carta usati, confezioni di alimenti), per la paura di gettare via qualcosa che "un giorno o l'altro potrebbe servire..".
  • Compulsioni mentali - Non costituiscono una reale categoria a parte di disturbi ossessivi, perché la natura delle ossessioni può essere una qualunque delle precedenti. Coloro che ne soffrono, pur non presentando alcuna compulsione materiale, come nel caso delle ossessioni pure, effettuano precisi cerimoniali mentali (contare, pregare, ripetersi frasi, formule, pensieri positivi o numeri fortunati) per scongiurare la possibilità che si avveri il contenuto del pensiero ossessivo e ridurre di conseguenza l'ansia.

Il disturbo ossessivo-compulsivo colpisce, indistintamente per età e sesso, dal 2 al 3% della popolazione. Può infatti manifestarsi sia negli uomini sia nelle donne, indifferentemente, e può esordire nell'infanzia, nell'adolescenza o nella prima età adulta. L'età tipica in cui compare più frequentemente è tra i 6 e i 15 anni nei maschi e tra i 20 e i 29 nelle donne. I primi sintomi si manifestano nella maggior parte dei casi prima dei 25 anni (il 15% ha esordio intorno ai 10 anni) e in bassissima percentuale dopo i 40 anni. Se il disturbo ossessivo-compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e ad aggravarsi progressivamente.

[Fonte: www.ipsico.org]

« Attento Reich, non ho elementi per darle torto,
ma non posso sostenerla.
Lei si ficcherà in un ginepraio!
»
(Sigmund Freud)